Soledimonte

 1917

 Jacob impugnò lo Steyr stringendolo con tutta la forza dei suoi tendini. Goccioline di sudore uscivano da sotto il cappello e si incanalavano tra le rughe della fronte. Cercò di trattenere il respiro per ridurre al minimo i tremiti dei muscoli. Appoggiò il calcio contro la spalla sinistra.

Accostò la guancia alla canna e abbassò le palpebre.

Cercò di prendere la mira.

Inutilmente.

I muscoli erano troppo tesi. Appoggiò il fucile a terra e spostò un piede a monte.

Piegato in avanti, con entrambe le mani sulla coscia, cercò di riprendere il controllo del suo corpo.

Respirava a bocca aperta, ingoiando e sputando l’aria con rabbiosa avidità.

Si passò la manica della divisa sulla fronte.

Poi guardò in su.

Lo vide bene.

Si era portato quasi fuori tiro.

“Non so chi di noi due sia più stanco”, pensò Jacob.

Riprese l’inseguimento. Superò una balza molto scoscesa e si ritrovò su un cumulo disordinato di sassi che disegnavano una specie di fiume dai mille rivoli.

Non lo fece apposta, ma quando il masso su cui poggiava si spostò, di poco, innescò una reazione a catena che provocò in un istante un sordo rumore di frana. L’inseguito avvertì un nuovo pericolo e l’istinto gli suggerì di scattare di nuovo verso l’alto.

Il bosco si diradava e la montagna cominciava a cedere il posto ai cespugli e alle ortiche. Più su si allargavano a macchie prepotenti i rododendri già fioriti.

Era l’undici di giugno e la primavera quell’anno aveva fatto le sue cose con comodo: pochi giorni di sole convinto nelle ultime settimane erano però bastati ad accelerare le fasi della natura e recuperare quasi tutto il tempo perduto.

Poteva essere un angolo di paradiso.

Invece era l’inferno della guerra. 

                      leggi prologo e primo capitolo

 

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